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Davide Racca o lorizzonte liquido del mare interiore.

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“L’ORA BLU” – silloge poetica - Anterem Edizioni 2022 Davide Racca … o l’orizzonte liquido del mare interiore.

 

È questa l’ora che nel quadrante del tempo è destinata a scomparire dalla linea immaginaria del meriggio, prima ancora che faccia sera, ancorché le note d’un malinconico violoncello si dispiegano al passaggio dell’ombra che attraversa l’orizzonte poetico dell’osservatore attento. Quell’orizzonte liquido che nell’infinito suo essere evanescente, si vuole fissato nelle profondità del mare, così come nelle sommità del cielo …

 

Ecco quindi che “l’ora blu è un’ora crudele / quella di chiudere gli occhi / di chiuderli insieme / vedere l’intero – di quella (lingua senza idiomi) che lascia – una luce rabbiosa tra i solchi / e dopo il nero indiviso: un buio / assetato di battiti”.

 

Quasi che la pregnanza dei colori crepuscolari della tavolozza pittorica di Davide Racca, autore di questa silloge fin “troppo vicino alla faglia della notte”, filtrata attraverso la sua lente multifocale, riflette d’un vissuto avito, memore dell’età che avanza, dell’impronta terrena, umana, mortale e quindi profana, che egli stesso ha eletto a trascendentale eccellenza: di fatto il blu è primario nella teoria dei colori, metafora dell'introspezione e dell'infinito, di ciò che è caratterizzato da sentimenti profondi, di sensibilità e mistero …

 

“le porte aperte / le porte senza ospiti / o stipiti / … / tu che sai del vuoto / l’urlo, l’urto vertebrale / vai a ritrovare il caos / … / la faglia dove preme / la terra trema / (inutile lasciarla fuori / se piove) /… / anche se piove / è dal fondo che viene / ciò che dissipa i piedi, / le siepi, il viavai / di porte scombinate”.

 

Un mistero di fervente spiritualità che s’irrora nel blu, quando è chiaro e sereno, nel colore del cielo; così come l'atmosfera terrestre effonde la sua “trattenuta inquietudine” nel blu delle grandi distese d'acque profonde; un segreto che l’autore non svela nel suo scrivere, ma bensì mistifica, sine die, nell’offuscarsi dell’esistenza dei giorni …

 

“con pala e seme / non senza violenza si pianta / l’icona del cuore / … / ma dentro / è tutta pieghe e piaghe / la pulsione della bestia”. Quale mistero che non dev’essere svelato è qui mantenuta la segretezza, la propria oscurità in frantumi, l’ambiguità che “protende dalla melma”, quel “(che non vedremo senza capirlo / non capiremo senza vederlo)” di “nude sembianze (vite / nubi sogni e lividi) /… / al senso dei sogni”.

 

“Ci sono sogni che si snodano come incidenti senza importanza, cose che nella vita ad occhi aperti neppure se ne riterrebbe il ricordo, eppure ti occupano al mattino quando li afferri mentre si spingono in disordine contro la porta delle palpebre.”

 

Una frase questa, ripresa da i “Fiori blu” di Raymond Queneau, che – a mio parere – ben si attaglia alla cifra poetica di Davide Racca, in cui il blu incornicia gli inquieti sentimenti ch’egli afferisce al chiaroscuro della propria scrittura; una simultaneità che si rivela nei tratti di luce e d’ombra, ogniqualvolta egli cerca di catturarne l’alterità, a voler dare così un senso al mistero terreno della vita …

 

“resta di pietra / il profilo della vita / in quel punto / resta di pietra / l’abito della festa / e il convitato / resta di pietra / la mensa di pietra / di domani / della voce / (a volerlo) si può conoscere / ogni piega e azione / fino all’ultima declinazione / del rantolo / (un notturno visionario / poi / ha prevalso / in ogni senso) / … / d’improvviso era chiaro / (la marea si alzava) /…/ si vagava a vista / (e la vista anche quella / che sfocava), nel “lento corso dell’onda”.

 

Ma se insensato è il guardare dentro un mistero tenacemente racchiuso, talvolta prevale nella sua scrittura il ‘corpo nascosto’ usato nella frase, il mutare dell’intento in cui “lo sguardo / si è fatto luce” ed ha attraversato la tenebra che l’avvolge “nel più profondo vuoto / al centro del mistero /… / silenzio / … / complice il vuoto la luna / rovescia aghi nei monologhi / dice di un solo corpo / portato alla luce / a fare ombra … / a pensarci ora, è l’ora blu / tu / anche tu (Luna) di questa ora / hai paura?”.

 

E dov’è quel mare ora (?) si chiede ancora il poeta preso dalla nostalgica rimembranza che adombra ogni luce ...

 

“è di oggi la pioggia che cade / sarà stanotte / la neve di domani / … / quando lo spazio si spezza / e tutto finisce (come tutto finisce) nell’eco” del tempo che passa … “luna parola strana, sola su un corpo solo non raggiunge l’ombra del muro dove la parola amore preme la mano contro una ruga vuota … sai che passato è passato e non sai più se è stato” … “pensa al segno che rimase rete chiodi alghe e legno (il corpo vuoto di una massa) … pensa comunque pensa … promessa allora non fecero memoria”.

 

Nota aggiuntiva: I primi pigmenti blu provengono da minerali, di solito lapislazzuli o azzurrite. Nell'Antico Egitto era la tinta della pelle del dio dell'aria Amon; blu era l’occhio dai poteri magici di Rā il dio supremo emerso dalle acque primordiali. mentre nel Cristianesimo il blu è il colore della vergine Maria. Negli usi sociali, artistici e religiosi più conosciuti, il blu è il colore simbolo della lealtà e dell'equilibrio, anche considerato simbolo della pace, della calma, così come del silenzio e dei sogni, anche quelli più neri. In sanscrito la parola nila è uno dei colori cosiddetti ‘accidentali’, significa sia nero che blu: sta di fatto che Śhiva ha la gola colorata di blu, segno del veleno che ha ingoiato ma che non l'ha ucciso; siffatto a Krishna, è attribuito un blu tendente al grigio, come le nuvole che sopraggiungono nell’uragano.

 

L’Autore: Davide Racca, una laurea in filosofia, poeta e artista multimediale, ha realizzato mostre e letture in Italia e all’estero, investigando vari media espressivi. Ha pubblicato raccolte in versi, traduzioni in/dalla lingua tedesca, collabora all’inserto culturale Alias Domenica de il Manifesto e con varie riviste e blog letterari. Attualmente vive e lavora tra l’Italia e la Francia.

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